
Sto leggendo il libro di Marilde, che non vedo l'ora di finire per poterne parlare e parlare e parlare. Gli stimoli che lei fornisce sembrano infiniti.
.Uno, soprattutto, per ora, ha provocato risonanti ridondanze dentro di me: dove sono le altre mamme? Dove sono le mamme che fanno fatica, che non dormono, che non ce la fanno più a non riposare e a dover contenere, sostenere, consolare e, perchè no, anche lavorare? Dove sono le amiche che un tempo ascoltavano i tuoi crucci nel mondo reale, ed ora, avendo figli come te, ti aspetteresti che potessero condividere la tua stessa stanchezza, la stessa ansia e, a volte, di nuovo perchè no, anche una sana depressione? Dove sono le possibilità di vedersi tutte insieme e fornire ai bambini occasioni di scambio, ma anche momenti di svago per noi adulti, magari, ari-perchè no, davanti a un bicchiere di vino? Dov'è la complicità femminile di questo momento di vita che forse renderebbe tutto più leggero, più facile? Dove sono le compagnie-cura alla solitudine di cui parla la stessa Marilde?
.Le mie amiche vere sono delle persone fantastiche: interessanti, divertenti, belle. Ho milioni di ricordi con loro, ma, nonostante abbiano bambini piccoli come me, mi sembrano distanti da quanto vivo io. Ma è possibile che ancora, anche tra di noi, ci sia questa inibizione sociale a parlare di quanto l'abnegazione materna sia, a volte, non solo faticosa, ma pesante e insopportabile? Possibile che per loro sia diverso? Perchè non se ne può parlare?
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Allora sembra impossibile che, invece, sia solo nei blog, al riparo dallo schermo, che di questo si possa discutere e, ari-ari-perchè no, anche lamentarsi.
Che un lamento mica è equivalente all'assenza di amore o di desiderio di contatto e vicinanza al tuo bambino. Che un lamento è la voce naturale dell'Ombra del materno che non solo nutre e protegge, ma fagocita e distrugge anche. Perchè la si può vedere solo da lontano questa Ombra, nel collettivo dal quale prendiamo le distanze, e mai nel quotidiano, che non è qualcosa di tanto astratto, ma corrisponde ai "non ti sopporto più quando ti svegli 12 volte per notte", "ti prego fammi mangiare un boccone in pace", "rendimi due ore della mia vita da sola", eccetera, eccetera.
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La differenza, forse, sta solo nella quantità. Che è un pò la differenza tra bersi un bicchiere di vino al giorno oppure due bottiglie: un conto è potere integrare anche il lamento e la rabbia all'interno dell'esercizio di un materno sufficientemente buono, un conto è vivere ogni santo momento della propria giornata come qualcosa di ostile ed odioso.
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Non so.
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Mi sembra che, per ora, siamo ancora qui: nel vecchio stereotipo della buona madre, che lascia, però, ottime donne e madri in un vortice di obblighi e tabù ancora troppo spesso solitario.